I dati:
Stando a quanto pubblicato nel 2017 dalla World Diabetes Federation, sono 415 milioni le persone che vivono con il diabete di tipo 1, cioè 1 adulto su 11, e questo numero è destinato a salire a 642 milioni entro il 2040.
Stando a quanto detto, solo in italia vi sono, secondo uno studio, almeno il 5% della popolazione malata di diabete di tipo 2, 18 mila invece, quelli malati di tipo 1, tra gli adolescenti e bambini, circa 500 mila tra gli adulti.
La questione:
La comparazione tra il tracciamento della propria privacy personale sul web e la salute si dimostra sempre più disfunzionale.
Per accertarsi che un determinato utente ha visitato una determinata pagina e collezionarne e rilasciarne i dati da parte del sito si fa sempre uso dei cookies, ma questa politica va contro gli interessi della salute delle persone.
Si sarebbe potuto utilizzare un termine che non richiamasse alle suddette patologie delle persone, che potrebbero provare stato di ansia o sentirsi male leggendo la dicitura stessa, accompagnata spesso da immagini di biscotti.
Il principio è il funzionamento stesso dell’accostamento della parola all’obesità e al diabete, l’associazione diretta.
Per implementare i cookies si sarebbe potuto utilizzare qualsiasi altro tipo di etichetta anziché utilizzare propriamente la suddetta, e si sarebbe anche evitato di trasportare i problemi della nostra civiltà all’interno del mondo delle macchine.
Questo dei cookies e della scelta di tale nome è un grosso passo indietro nella civiltà, una forma di ghettizzazione dei malati e propaganda della malattia, proprio nel settore dove più spesso sono identificati i casi di sedentarietà e quanto altro di peggiore.
Il nostro auspicio è che questa pratica, invadente o meno che sia, possa cambiare successivamente in futuro, alleggerendo anche i siti stessi della pesantezza di questo nome così fortemente malsano.
Per farci una idea di come si sarebbe potuto chiamare il cookies diversamente basta pensare alla famosa ricevuta, e quindi si sarebbe potuto chiamarlo Ticket.
Ma a quanto pare il legislatore ha preferito il suo peggior sinonimo, comparando il rilascio dei dati al processo di cottura di biscotti.
Un gravissimo errore che apporta non solo a un conseguente invito malsano, si basta pensare a quanto facilmente possa essere replicata l’azione del mangiare i biscotti in seguito all’essere stati accolti in casa d’altri o invitare il prossimo a mangiarli nel momento dell’ingresso, ma anche a un vero e proprio atto contro i malati, che si vedono così costretti a rinunciare, vuoi per il proprio disagio o per il disagio che può portare l’immagine o il nome stesso ricordandogli qualcosa che non può più mangiare ma che desidererebbe o che rigetta proprio, riportandoglielo sempre alla mente, col conseguente rischio di malessere.
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