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Boom petrolifero in Guyana: opportunità e questione ecologica

da | Gen 15, 2022 | Lifestyle

Energie alternative? Nuovi sistemi economici? No, a creare incredibili opportunità di investimento in una zona povera del Sudamerica potrebbe essere l’inatteso boom petrolifero iniziato da poco più di un anno. In Guyana, infatti, il PIL ha registrato nel 2020 un aumento del 43,5% e l’economia sta godendo di effetti positivi sull’indotto e sul terziario grazie alle sfruttamento delle risorse petrolifere a largo della costa, ad opera dell’americana ExxonMobil. A seguito delle esplorazioni del sottosuolo marino, la sua stima è di produrre 10 miliardi di barili di greggio nei prossimi vent’anni. La speranza del governo e degli abitanti è quella di poter finalmente innalzare il tenore di vita, che è sempre stato molto basso: più del 40% della popolazione che vive con 5 dollari al giorno.

Altre risorse della Guyana: l’oro

La Guyana ha comunque anche altre fonti da sfruttare, e sono i cinesi quelli più attivi in merito. La Zijin Mining Company ha infatti acquisito dalla canadese Guyana Goldfields Inc. la minera d’oro “Aurora”, nel nord-ovest del Paese. A fine 2021 i cinesi hanno dato il via alla costruzione delle infrastrutture come strade e tunnel per servire la miniera. Oggi vi lavorano 900 cittadini guyanesi e le prospettive estrattive sono molto buone: si parla di 100mila once a fine dicembre.

Come rispettare l’ecologia?

Come riportato dal sito Strumenti Politici, lo sfruttamento delle risorse naturali si spera porterà investimenti e benessere in questo Paese povero, ma rimane il grande quesito del rispetto dell’ambiente e della coerenza con le regole del nuovo corso della transizione ecologica. Partiamo dal presupposto che la Guyana dispone di grandi foreste pluviali in grado di assorbire fino a 5,41 miliardi di tonnellate di CO2. Nel recente passato ne aveva beneficiato grazie alla Norvegia, uno Stato fra i più grandi produttori di petrolio del mondo. I norvegesi hanno pagato nel corso di sei anni 250 milioni di dollari alla Guyana (una somma, bisogna dirlo, minuscola rispetto ai bisogni dei cittadini guyanesi e rispetto al giro di soldi dell’industria petrolifera) per non superare un determinato tetto di deforestazione. Al COP26, la conferenza di Glasgow sul clima, il presidente guyanese Mohamed Irfaan Ali ha presentato il piano “Low Carbon Development Strategy” o “LCDS 2030”, avente l’obiettivo di creare in Guyana una nuova economia a basse emissioni carboniche. La “nuova visione” del LCDS 2030 promette di unire i due volti della Guyana, quello di Paese estrattore e quello di Paese che cerca soluzioni al cambiamento climatico. Nel 2021 il suo governo ha imposto una carbon tax di 45 dollari. Ora promette di applicare una politica che imponga alle aziende del settore petrolifero di operare secondo gli standard internazionali di rispetto dell’ambiente, per esempio nella gestione dei rifiuti industriali e nell’implementazione di tecnologie pulite per i processi estrattivi. Nel discorso al COP26, il presidente Ali ha posto l’obiettivo di ridurre del 70% le emissioni entro la fine del decennio e di sganciare la crescita economica dai settori più inquinanti, investendo su quelli low carbon e sostenendo la cancellazione dei sussidi per la produzione di combustibili fossili. Per adesso, però, la capitale Georgetown resta una delle nove grandi città del mondo che potrebbero finire sommerse entro il 2030, se l’emissione di gas serra proseguirà con i ritmi attuali.

Approfondisci: https://strumentipolitici.it/la-guyana-e-lequilibrio-impossibile-fra-ecologia-e-boom-petrolifero/




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